Nella giornata internazionale del sorriso la sindaca di Perugia Vittoria Ferdinandi ha risposto sul suo profilo social a coloro che l’hanno insultata per la sua tendenza a sorridere in ogni occasione. Questo il pensiero espresso dalla sindaca perugina:
“Prima che tu sorrida, io ho già sorriso diceva Aldo Capitini insegnandoci cosa significa saper accogliere. Non lo conoscevo da bambina eppure chiunque mi abbia conosciuto racconta di una bambina capace di portare un sorriso anche nelle situazioni più dure, quelle che la vita non risparmia mai a nessuno. Una bambina che sorrideva sempre prima che l’altro sorridesse.
Da grande, quando studiavo filosofia ho poi inciampato in alcuni autori che mi hanno aiutata nel comprendere meglio questa mia attitudine. Sentivo che il mio sorridere non era un gesto di leggerezza sconsiderata ma una forma di resistenza, come direbbe Nietzsche un invito a non cedere alla disperazione anche nei momenti più bui. Quante volte nel mio lavoro tanti si sono sentiti salvati, accolti da quel sorriso. Quante volte i ragazzi e le ragazze di Numero Zero mi hanno detto che il mio sorriso li aveva aiutati a credere in se stessi, a non sentirsi mai rifiutati. E quanto è doloroso sapere che oggi, in questo tempo di trionfo dell’odio e della paura, nel mio ruolo quel sorriso faccia così paura.
Ridolina, minus habens, rana dalla bocca larga, denti dritti, storti, sfacciata, leggera, superficiale, smettila di sorridere comincia a lavorare. Smettila di sorridere. Sei una donna stai composta, sii garbata. Come se sorridere fosse un gesto di sguaiataggine. Come se lavorare, fare il bene della città dovesse passare da gesti di chiusura, di tristezza. Come se sorridere fosse un gesto di sfida, di superficialità e non un invito a sperare, di cui c’è sempre un enorme bisogno.
Quando mi sono candidata a Sindaca della mia città non ho mai pensato che avrei dovuto rinunciare alla mia apertura, alla mia gioia di fronte agli umani. Eppure negli ultimi mesi ho sentito che quel sorriso cominciavo a portarlo con fatica, con imbarazzo alle volte con vergogna.
Poi sono arrivata nella caverna di Guido Harari, in uno di quei giorni in cui il peso della città, delle sfide rincorse e mancate, delle difficoltà quotidiane, della vita dedicata solo alla cosa pubblica, delle ore infinite di lavoro duro si sentiva forte.
Eppure in uno scatto Guido l’ha fatto riemergere nella sua potenza, come qualcosa che resta in me, nonostante tutto.
Perché per me sorridere significa essere fedele al mandato di quella bambina lì quella che continua a credere che tra esseri umani ci si possa fare del bene, ci si possa accogliere spalancando bocca e cuori.
Per questo più mi attaccheranno, più vorranno portarmi nel mondo dei duri, di quelli con il mento all’insù, le bocche serrate e gli sguardi arcigni, più continuerò a sorridere e a testimoniare con quel sorriso che in questo momento c’è sempre più bisogno di grazia, di gioia, di apertura. Più continuerò a testimoniare che essere seri non vuol dire essere seriosi e che si può prendere profondamente sul serio la vita e le sue sfide senza bisogno di farsi invadere dalle ombre.
Per quei bambini che mi hanno lasciato una lettera con scritto la nostra sindaca ha il sorriso più bello del mondo, io lo so che non è vero ma so che loro hanno bisogno di crederci”.